lunedì 22 agosto 2011

Lo studente e la lampadina

Prova invalsi nelle scuole superiori. Evidente lo scollegamento tra i patrocinanti e gli insegnanti alla maggior parte dei quali questa inziativa è apparsa (e si è rilevata!) una imposizione dall’alto. E’ anche vero che una buona parte del corpo docenti non va oltre questo approccio. Si rimane sulla difensiva,  sembra sempre che le cose debbano calare dall’alto, alla faccia dell’autonomia di cui ogni istituto dovrebbe essere dotato e che spesso viene mal utilizzata. Lasciare l’iniziativa a persone legate esclusivamente al mondo del lavoro (come nel caso delle prove Invalsi)  è assai pericoloso. In questo modo, nella assoluta apatia del corpo insegnanti impegnato a più a far valere qualche privilegio taroccato da diritto, questi piano piano si prendono un pezzo della scuola forse quello più importante relativo all’autonomia dell’insegnamento (autonomia nelle verifiche, autonomia nella valutazione).
Se un problema esiste è che i docenti non valutano bene o sono costretti a farlo per via di una scala di valori che è fuorviante. In altri paesi si utilizzano scale diverse dalla nostra che si rifanno a pedagogie più moderne. 
E’ il ritorno in pompa magna della pedagogia gaussiana dove viene preso a modello il ciclo di vita di una lampadina o - fa lo stesso - le competenze di una macchina. Lo stesso termine abusatissimo “eccellenza”, ahimè ormai entrato a far parte anche del lessico interno quasi a giustificare e a compensare gli autolesionistici insuccessi, presuppone una distribuzione gaussiana delle valutazioni). In pratica: con queste prove si intende valutare gli studenti né più né meno come si valuta la performance di un bene in commercio. E non solo loro: gli stessi insegnanti vengono, per forza di cose, sottoposti a giudizio. Lo stesso giudizio a cui si sottopone un prestatore d'opera. Taylorismo spinto. Per qualcuno sarebbe pure ora, ma non è questo il modo. Se qualcuno deve giudicare il mio operato di insegnante che sia un pedagogo non certo un burocrate. Sulla legge dei grandi numeri è basato questo baraccone messo su alla modica cifra di  8 milioni di euro (sviste nella trascrizione, risposte azzeccate a caso, ed altre forme simili sono trascurabili). Nonostante la cifra non si è pensato a far trascrivere direttamente sui fogli a lettura ottica le risposte demandando ai docenti questa incombenza; camuffando per correzione quella che in realtà è stata una umiliante trascrizione (in media 8 minuti sia per il questionario che per le due prove; in una classe di 20 studenti, quasi 3 ore per trascrivere il tutto). Qualche istituto scolastico ha pure elargito un'elemosina ai docenti per il disturbo.   
Sulla modalità delle domande a risposta chiusa altro non c’è da dire se non che va bene per effettuare selezione nei concorsi. In alcuni casi le domande erano più lunghe e pesanti da leggere e da comprendere che da rispondere (crocetta compensativa? Mah!). Un buon insegnante si distingue anche dal fatto di poter valutare i processi di apprendimento per prove ed errori, di saper riconoscere le sfumature. Qui, invece, si pretende di valutare l’accertamento delle competenze in maniera dicotomica.
Mistero su come verranno interpretati i dati, per cui l’impatto mediatico sarà come al solito distorto. E l’errore che verrà commesso sarà quello di proiettare dati generali su realtà particolari con il rischio di emulazione. Gli studenti non sanno la matematica e giù botte. Insegnanti che per non apparire troppo indulgenti mazzolano. Oppure nuovi corsi di aggiornamento basati sul motto “come fare entrare in testa la matematica”.